di Anna Camposampiero.
Ieri notte ho assistito a un incidente. Scooter contro auto. Alla guida dello scooter ragazzo del ’94.
Stava rientrando a casa dopo aver finito di lavorare. Lavoro: consegna con uno di quei servizi che una volta erano i pony express e adesso fanno il verso ad animali di altri continenti…
Ci si ferma a dare una mano, nessuno si è fatto male per fortuna.
Ci si ferma in tre. Già un miracolo va detto. (grazie Alessandro Lanzani).
Così scopro che lo scooter è del ragazzo, che l’azienda per cui lavora gli fornisce il bauletto e la divisa (a dire il vero non gli ho chiesto se ha dovuto comprarli…), che la sua preoccupazione è nel non avere il mezzo per lavorare. Gli chiedo più volte se sta bene, perché a volte l’adrenalina non ti fa percepire un danno fisico. Ma era più preoccupato del mezzo. Con quello ci lavora.
Tutto finisce bene, firmano la costatazione amichevole, l’autista dell’auto è un altro bravo ragazzo preoccupato di ciò che è accaduto. Mi segno come testimone, sapendo che è una menata, ma che in caso serve.
E mi rimane la sensazione di un paese alla deriva.
Una repubblica non più fondata sul lavoro e sulla dignità delle persone.
Il giovane era la fotografia di una generazione sull’orlo della disperazione e forse senza nemmeno saperlo. Tanta rabbia che esce quando non te lo aspetti, tanta. E che nessuno riesce a incanalare. Eppure aveva gli occhi buoni il ragazzo, e tristi.
E scrivo adesso, perché ho letto dei sette operai incatenati, con cui certo che sono solidale, ma basta?
Come lo sono con il ragazzo di ieri sera.
Jobs Act, delocalizzazioni facili, precarietà, disoccupazione cronica.
E scrivo perché devo rimettermi in gioco anche io gioco forza e non sono poi così giovane.
Scrivo perché oggi un po’ di rabbia ce l’ho addosso anche io.
Ricominciamo a mettere al centro le persone, il diritto al lavoro e a un lavoro dignitoso.
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